Gli uccelli non sono gli unici animali a possedere una conformazione morfologica delle proprie corde vocali capace di imitare la voce dell'uomo. Strano ma vero, esistono alcune specie di cetacei che emettono suoni a basse frequenze con l'intendo di farsi sentire dalle altre specie, uomo compreso. Nel lontano 1984, un gruppo di ricercatori del National Marine Mammal Foundation di San Diego, in California, effettuarono alcuni studi sulle vocalizzazioni dei cetacei dimostrando che la capacità di imitare la voce umana non era una prerogativa esclusiva degli uccelli. Durante le loro ricerche, infatti, si accorsero casualmente della straordinaria capacità di NOC, un esemplare di Beluga (Delphinapterus leucas), di imitare la voce umana, quando nei pressi della sua vasca udirono una specie di conversazione le cui parole emesse dal cetaceo non erano perfettamente distinguibili (ascolta la voce di NOC). Registrando ed esaminando le vocalizzazioni di NOC, i ricercatori scoprirono che il ritmo e la frequenza erano effettivamente molto simili a quelle della voce umana.
Verso la fine degli anni Ottanta, però, dopo quattro anni di vita, NOC smise le sue "imitazioni": probabilmente perché raggiunse la maturità sessuale. Nel 2007, al raggiungimento del trentesimo anno di età, il perspicace beluga morì lasciando un importante "tassello" alla ricerca scientifica sul mondo animale.
Scoperta una nuova specie di scimmia dai lineamenti somatici molto simili a quelli umani, il suo nome è Lesula (Cercopithecus lomamiensis). La popolazione di questo primate è stata a lungo studiata da alcuni ricercatori della Fondazione Lukuru del Congo e del Museo Peabody degli Stati Uniti, che insieme ai colleghi di diverse istituzioni di entrambi i Paesi sono riusciti a raccogliere una grande mole di informazioni, circa il loro stile di vita e il loro habitat, e realizzare numerose foto che ritraggono gli esemplari nei diversi momenti della loro quotidianità.
Le osservazioni hanno riguardato una piccola popolazione di 48 individui che vivono in prossimità del bacino del fiume Lomami nella regione centro-occidentale della Repubblica del Congo. Il Lesula assomiglia alla scimmia faccia di gufo (Cercopithecus hamlyni), lo afferma l'antropologo americano Andrew Burrell della New York University che ha partecipato allo studio, ma la sua affermazione è stata subito smentita da una serie di analisi genetiche che hanno dimostrato, invece, che tra le due specie parenti esistono sostanziali differenze.
I Lesuli sono animali elusivi e tranquilli dal pelo di colore variabile dal rosa al grigio marrone. Vivono in piccoli gruppi familiari composti da un maschio, una femmina e un cucciolo. Possiedono un regime alimentare principalmente vegetariano, la cui dieta è costituita da foglie, germogli e frutti.
I pochi esemplari esistenti sono a rischio di estinzione in quanto cacciati per la qualità della loro carne dalle tribù locali.
Accadde nella riserva di Samburu, in Kenia, dove una leonessa di nome Kamuniak, sterile dalla nascita, decise di adottare un cucciolo di orice (Oryx gazella). Il grazioso cucciolo fu sottratto dalla madre dalla stessa Kamuniak che mise in fuga l’antilope lasciando il piccolo in balia del felino. La leonessa, non potendo concepire alcun piccolo, decise allora di adottare l’indifeso orice, proteggendolo dagli attacchi di altri predatori.
La singolare adozione però durò solo due settimane, sino alla tragica fine del piccolo a causa dell’attacco di un leone del branco, che aspettava con pazienza un cedimento dell’amorevole felino che, assetato, si allontanò di qualche metro per abbeverarsi ad un fiume. I rangers della riserva testimoniano di aver sentito lo spaventoso ruggito di rabbia e di dolore della leonessa alla scoperta del corpo straziato del suo cucciolo. Il leone infatti, non aveva attaccato per fame, ma solo per eliminare il piccolo intruso e ne aveva divorato il corpo solo per metà. Kamuniak girò attorno al leone per una decina di volte con aria minacciosa ma, invece di attaccarlo, fuggì improvvisamente facendo perdere le sue tracce per molto tempo.
La storia appena raccontata è utile a capire l’eccezionalità di questo caso che stravolge, seppur in maniera singolare, la dinamica dei processi naturali relativa al rapporto preda/predatore: la gazzella, infatti, è per antonomasia la preda preferita dal leone (Panthera leo).
Nell'Europa dell'età medioevale era credenza comune che alcune specie di farfalle fossero in realtà anime di strega, motivo per cui venivano considerate foriere di sventure. Il loro apparire era interpretato come l'annuncio di un male prossimo e ineludibile.
L'abitudine di molte farfalle di avvicinarsi a sostanze liquidi o dolci per succhiarle, era vista come il proposito di mandare a male le riserve di latte e burro. Allo stesso modo, vedere volteggiare farfalle su un campo di grano era considerato il segno della perdita dell'anima del cereale, fatto che spingeva i contadini ad adottare complessi rituali per salvare il raccolto. In altre zone del Mediterraneo esisteva un terrore autentico per le sfingidi, farfalle notturne dalla grande apertura alare e dal corpo carnoso. Un famoso rappresentante di questa famiglia è la Acherontia atropos, che mostra sul torace un disegno che ricorda con molta chiarezza un teschio. Per questo motivo è conosciuta come "Sfinge testa di morto". Per contro, in Italia, è comune una sfingide considerata da secoli portatrice di buona fortuna. Si tratta della "Sfinge del gallo", Macroglossum stellatarum, molto simile a un colibrì, che si può vedere svolazzare fra i fiori dei giardini. Questa farfalla non supera i 5 centimetri, vola durante il giorno e migra. Tutto ciò lo ha resa familiare agli abitanti delle zone in cui vive, però non ha liberato le altre sfingi dalla superstizione.
Nella nota famiglia botanica delle Ericacee è presente una pianta, il cui nome scientifico è Monotropa hypopitys L., che ha perso la capacità di effettuare la fotosintesi clorofilliana e quindi ha bisogno di nutrirsi a spese dei funghi. La strategia adottata da questa specie (non più autotrofa) per garantirsi la sopravvivenza è la simbiosi apparentemente mutualistica. L’ipopitide, così chiamata comunemente, è riconoscibile per la presenza di un “gambo” bianco e privo di clorofilla che emerge da un rizoma sotterraneo; quando fiorisce emette un vago profumo di vaniglia.
Il micelio fungino che pervade il terreno, quando incontra le radici di questa pianta, si unisce spontaneamente ad esse e forma una micorriza, una struttura particolare in cui le cellule del fungo e quelle della pianta sono strettamente connesse. In genere le micorrize apportano un vantaggio reciproco per il fungo e la pianta: il micelio fungino sottrae una modesta quantità di zuccheri alla pianta per nutrirsene, ma contemporaneamente potenzia ed estende le capacità di assorbimento di acqua e sali minerali da parte delle radici. Nel caso della Monotropa hypopitys sembra invece che la pianta si prenda solo i vantaggi della simbiosi: al fungo vengono sottratti anche gli zuccheri che questa Ericacea non riesce a fotosintetizzare da sola. Quindi, in apparenza, la pianta si comporta da parassita del fungo, anche se, stranamente, è proprio quest’ultimo a collaborare e a portare avanti in modo spontaneo tutte quelle complesse modifiche fisiologiche e strutturali che conducono alla simbiosi finale. Può anche darsi che, in realtà, non ci sia nessuna incongruenza in questa unione: semplicemente non sono ancora stati scoperti i vantaggi che il fungo trae da questa particolare associazione.
Il gruppo delle mantidi è molto antico, quando sulla Terra apparvero i primi uomini, questi insetti esistevano già da circa 30 milioni di anni! La colorazione vivace, anche nelle tonalità del rosa e del verde brillante, ed i disegni lungo il corpo, permettono a queste specie di mimetizzarsi perfettamente con i fiori sui quali si posano, in attesa della preda.
Un esempio emblematico è la mantide orchidea (Hymenopus coronatus). È una specie che abita le foreste tropicali di tutto il mondo eccetto l'Australia. Le espansioni fogliari simili a petali sulle tibie e la vivace colorazione fanno sì che la mantide assomigli moltissimo alle orchidee in cui si nasconde. Questa somiglianza le garantisce una mimetizzazione perfetta: i predatori come uccelli e lucertole la scambiano per un'orchidea. Immobile la mantide attende che una vittima si avvicini. L'unico suo movimento è un lento dondolio che la fa rassomigliare ad un delicato fiore che ondeggia per la brezza. Ignari del pericolo piccoli insetti si posano sul fiore per cibarsi del dolce nettare; quando uno di essi raggiunge la portata delle potenti zampe raptatorie della mantide, scatta l'attacco e il piccolo insetto non può nulla contro la forza imponente delle zampe armate di spine acuminate.
Il granchio samurai (Heikea japonica) è una specie endemica che vive nelle acqua giapponesi e deve il suo nome alla presenza di un carapace simile a una maschera kabuki. Il nome del genere, Heikea, deriva dal clan giapponese degli Heike, che furono sconfitti nella battaglia navale di Dan-no-Ura (1185) dal clan rivale dei Genji. Secondo la leggenda, gli spettri dei guerrieri Heike annegati ora dimorano sul fondo marino dentro il corpo dei granchi Heikea japonica, i quali presentano sul carapace un disegno che ricorda esattamente la ghigna di un guerriero samurai.
Lo sapevate che nel lontano Sud-est asiatico esiste una specie di delfino di colore rosa? il suo nome è Susa indopacifica (il cui nome scientifico è Sousa chinensis), è un cetaceo della famiglia Delphinidae.
Vivono lungo le coste cinesi e questa colorazione non è dovuta alla presenza di particolari pigmenti, ma deriva dalla grande abbondanza di vasi sanguigni sottocutanei che servono per la termoregolazione.
Gli adulti sono lunghi circa 220-250 cm e pesano mediamente dai 150 ai 230 Kg. Sono abbastanza socievoli e di solito vivono in piccoli gruppi formati da 3 o 4 individui.
Le femmine raggiungono la maturità sessuale all'età di 10 anni, mentre i maschi a circa 13. Il periodo riproduttivo va dalla fine dell'estate fino all'autunno, dove raggiungono le aree di riproduzione (in Sud Africa e in Australia), e le femmine partoriscono ogni 3 anni. La gestazione dura circa un anno e i piccoli rimangono con la madre fino a quando non sono in grado di procurarsi il cibo da soli.
L'albero più antico del mondo, il Pino di Wollemi (Wollemia nobilis), non corre più il pericolo di estinguersi. L’habitat naturale di questa conifera, appartenente alla famiglia delle araucariacee e che può arrivare a sfiorare i 40 m di altezza, è situato nell'emisfero meridionale. Fino a non molto tempo fa si riteneva che questa specie si fosse estinta 110 milioni di anni fa ma, dopo la scoperta in Australia, ne sono state localizzate popolazioni isolate in America Latina, Nuova Caledonia, Nuova Guinea e Nuova Zelanda. Nel 1994 furono censiti 76 alberi e 200 arbusti in crescita e, nonostante ulteriori rinvenimenti, questo pino rimane uno degli alberi più rari di tutto il pianeta. Per motivi di sicurezza è stato deciso di non rivelare l'esatta posizione della foresta di pini di Wollemi (che, d'altra parte, è in una zona già di per sé difficilmente accessibile) ed è stato avviato un piano basato sull'allevamento in vivaio di 400 piantine, con le quali avviare un programma di propagazione dell'albero più antico di tutti.
Le piante carnivore sono delle particolari piante adattate a ricavare le sostanze nutritive dalla digestione delle proteine degli animali che intrappolano in particolare insetti ed altri artropodi, al fine di ottenere i nutrienti essenziali per la loro crescita.
Questa singolare caratteristica è il risultato di un adattamento a quegli ambienti, come paludi, torbiere o rocce affioranti, in cui il suolo per la forte acidità è povero o privo di nutrienti e in particolar modo d'azoto. Queste piante, infatti, presentano radici piuttosto piccole, mentre possiedono un sistema complesso di foglie modificate che fungono da vere e proprie trappole. Ne esistono diversi tipi:
· Trappole ad ascidio: le prede vengono intrappolate all'interno di una foglia arrotolata a forma di caraffa, contenente enzimi digestivi e/o batteri;
· Trappole adesive: la cattura avviene tramite una mucillagine collosa secreta dalle foglie;
· Trappole a scatto o a tagliola: un rapido movimento delle foglie immobilizza l'animale al loro interno;
· Trappole ad aspirazione: la preda viene risucchiata da una struttura simile ad una vescica;
· Trappole a nassa: presentano dei peli che dirigono forzatamente la preda all'interno dell'organo digestivo.
Queste trappole possono essere classificate anche come attive o passive, in base alla partecipazione della pianta alla cattura.
La rana toro (Lithobates catesbeianus), conosciuta anche come rana bue per il suo particolare gracidio che può ricordare il muggito dei bovini, è un anfibio anuro della famiglia Ranidae. È originario del Nord America ed è uno dei più grossi anfibi, capace di raggiungere i 20 cm di lunghezza (zampe escluse).
Questa specie oltre ad essere nota per la sua importanza nella ricerca biomedica e nella cultura, è molto apprezzata anche nel mercato alimentare, in particolar modo per le sue zampe. Purtroppo vi è una tale richiesta di questa specie in Europa (soprattutto in Francia) e negli Stati Uniti, che le popolazioni si sono ridotte drasticamente, sia a causa dello sfruttamento eccessivo sia per il prosciugamento e inquinamento delle zone umide. Negli Stati Uniti e in Europa si è tentato di allevare le rane toro in cattività, ma senza esiti positivi. Infatti queste rane sono mangiatrici voraci che di solito accettano, cacciando, solo prede vive quali insetti, gamberi e altre rane.
Il Granchio gigante del Giappone, il cui nome scientifico è Macrocheira kaempferi, è il più grande invertebrato vivente della Terra. Appartenente alla divisione degli artropodi e da adulto può raggiungere un’estensione di circa 4 metri grazie alle lunghe zampe, mentre il corpo centrale non supera generalmente i 40 centimetri di ampiezza. Questo particolare essere vivente vive nei fondali dell’Oceano Pacifico a una profondità di circa 400 metri. Nonostante il suo aspetto poco rassicurante, il Granchio gigante del Giappone è un crostaceo estremamente pacifico e timoroso dell’uomo. A causa delle sue zampe molto lunghe e articolate, questo animale viene spesso pescato accidentalmente dai pescherecci che praticano la pesca a strascico al largo delle coste giapponesi. Gli esemplari più fortunati, e che non vengono pescati, raggiungono anche i cento anni di vita.