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E’ noto che gli esseri umani vengono identificati singolarmente da una serie di caratteri e le impronte digitali sono certamente le prime che consentono di distinguere una persona in modo univoco. Oggi molte altre caratteristiche servono allo stesso scopo, come impronte vocali, capelli, fisionomia facciale e della mano, ecc..
Tale fenomeno non è però una caratteristica esclusiva degli esseri umani, ma è presente anche in molte altre specie animali, in maniera differente.
Molti anni fa, insieme ad un amico biologo abbiamo raccolto circa 60 esemplari di Dorifora della patata (Leptinotarsa decemlineata), un coleottero crisomelide ben noto per gli importanti danni che ogni anno causa nel mondo ad alcune piante ortive, principalmente la patata. Ebbene, lo scopo di questa piccola ricerca era di dimostrare semplicemente l’esistenza di caratteristiche individuali uniche anche tra gli insetti, che ne permettono il riconoscimento individuale, analogamente alle nostre impronte digitali. La nostra ricerca è stata poi pubblicata su una rivista: “Il Naturalista Campano”.
Nella foto qui rappresentata, si riportano solo 6 dei 60 esemplari fotografati, dove noterete alcune piccole differenze come: il colore del loro corpo, crema o marrone, le forme delle macchie presenti sul capo e così via.
L’abbinamento dei colori giallo e nero viene utilizzato per dare risalto ad un pericolo da aggirare, come nel caso della segnaletica di sicurezza sui posti di lavoro per evidenziare ad esempio il pericolo di caduta con dislivello, la presenza di materiale radioattivo o di carrelli in movimentazione.
Ancora una volta, la natura ha ispirato l’uomo!
La colorazione nel mondo animale svolge un ruolo molto importante in quanto rappresenta una forma di comunicazione, come per l’appunto l’alternanza di colori sgargianti quali il giallo e nero tipico delle livree di alcune specie animali come alcune rane tropicali velenose, oppure di insetti dotati di pungiglioni come le vespe e le api, la cui funzione è quella di suscitare allarme nei confronti di potenziali predatori o minacce; in altre parole è come se avvertissero dicendo: “stia attento, si tenga lontano perché posso essere molto pericoloso…”
Ci sono poi delle specie che approfittano di questa strategia comunicativa per trarne un loro vantaggio imitando proprio le suddette specie, assumendo la loro stessa tipica colorazione a strisce nere e gialle e fingersi così di essere pericolose agli occhi dei loro predatori.
I Sirfidi sono insetti appartenenti allo stesso ordine delle comuni mosche (ditteri); alcune specie di questa numerosa famiglia sono straordinari imitatori delle aculeate vespe e api, alle quali cercano di assomigliare nell’aspetto per tenere lontane eventuali minacce durante il loro girovagare tra le piante alla ricerca di nettare, polline e sostanze zuccherine. Fingono così di essere pericolose quando in realtà non lo sono affatto perché non pungono.
Accadde nella riserva di Samburu, in Kenia, dove una leonessa di nome Kamuniak, sterile dalla nascita, decise di adottare un cucciolo di orice (Oryx gazella). Il grazioso cucciolo fu sottratto dalla madre dalla stessa Kamuniak che mise in fuga l’antilope lasciando il piccolo in balia del felino. La leonessa, non potendo concepire alcun piccolo, decise allora di adottare l’indifeso orice, proteggendolo dagli attacchi di altri predatori.
La singolare adozione però durò solo due settimane, sino alla tragica fine del piccolo a causa dell’attacco di un leone del branco, che aspettava con pazienza un cedimento dell’amorevole felino che, assetato, si allontanò di qualche metro per abbeverarsi ad un fiume. I rangers della riserva testimoniano di aver sentito lo spaventoso ruggito di rabbia e di dolore della leonessa alla scoperta del corpo straziato del suo cucciolo. Il leone infatti, non aveva attaccato per fame, ma solo per eliminare il piccolo intruso e ne aveva divorato il corpo solo per metà. Kamuniak girò attorno al leone per una decina di volte con aria minacciosa ma, invece di attaccarlo, fuggì improvvisamente facendo perdere le sue tracce per molto tempo.
La storia appena raccontata è utile a capire l’eccezionalità di questo caso che stravolge, seppur in maniera singolare, la dinamica dei processi naturali relativa al rapporto preda/predatore: la gazzella, infatti, è per antonomasia la preda preferita dal leone (Panthera leo).
Nascosto tra i sottili strati di foglie e l'umida letticella nei boschi di conifere, si cela un piccolo tesoro della natura: Hydnellum peckii, un fungo straordinario noto anche come "sanguinaccio". Con la sua distintiva colorazione rossastra e le caratteristiche gocce di liquido rosso che sembrano sangue, questo fungo è diventato una delle specie più affascinanti e iconiche dei boschi boreali e temperati.
Hydnellum peckii appartiene alla famiglia delle Bankeraceae ed è caratterizzato da un cappello convesso e rugoso, di solito di colore rosso, arancione o bruno-rossastro. La superficie del cappello è punteggiata da piccole proiezioni a forma di spine, che sono le strutture riproduttive del fungo. Le lamelle, invece, sono piuttosto spesse e solitamente di colore bianco o grigio chiaro, virano al grigiastro con l'età. Ciò che rende davvero unico Hydnellum peckii è la sua caratteristica secrezione di gocce rosse, che gli conferisce l'aspetto sanguinolento che ha reso famoso questo fungo.
Questo fungo si trova principalmente nei boschi di conifere dell'emisfero settentrionale, come quelli di abete, pino e larice. Predilige terreni umidi e ricchi di materiale organico decomposto, e spesso cresce in associazione con altri funghi micorrizici. È più comune nelle regioni boreali e temperate del Nord America, dell'Europa e dell'Asia.
Sebbene Hydnellum peckii non sia commestibile e possa persino provocare reazioni avverse se consumato, è stato oggetto di interesse per le sue proprietà medicinali potenziali. Alcuni studi suggeriscono che i composti chimici presenti nel fungo potrebbero avere attività antimicrobica e antinfiammatoria, e potrebbero essere utilizzati nella ricerca farmaceutica per sviluppare nuovi trattamenti.
Inoltre, la sua presenza può essere un indicatore della salute degli ecosistemi forestali. Essendo un fungo micorrizico, stabilisce una simbiosi benefica con le radici delle piante, fornendo loro nutrienti essenziali in cambio di carboidrati prodotti dalla fotosintesi. La sua presenza può quindi indicare la biodiversità e la stabilità dell'ecosistema forestale.
Come molte altre specie fungine, Hydnellum peckii è suscettibile all'alterazione degli habitat naturali a causa della deforestazione, dell'inquinamento e dei cambiamenti climatici. Per preservare questa specie e i suoi ecosistemi associati, è importante adottare pratiche di gestione forestale sostenibili e promuovere la conservazione delle foreste native.
E’ uno degli esempi più affascinanti della ricchezza della biodiversità fungina. La sua singolare colorazione e le sue caratteristiche biologiche lo rendono un soggetto di grande interesse per gli appassionati di micologia, i ricercatori scientifici e gli amanti della natura. Proteggere le foreste e le loro meraviglie nascoste è essenziale per garantire un futuro sano e prospero per i nostri ecosistemi naturali.
Autore: Roberto Vatore