Nella nota famiglia botanica delle Ericacee è presente una pianta, il cui nome scientifico è Monotropa hypopitys L., che ha perso la capacità di effettuare la fotosintesi clorofilliana e quindi ha bisogno di nutrirsi a spese dei funghi. La strategia adottata da questa specie (non più autotrofa) per garantirsi la sopravvivenza è la simbiosi apparentemente mutualistica. L’ipopitide, così chiamata comunemente, è riconoscibile per la presenza di un “gambo” bianco e privo di clorofilla che emerge da un rizoma sotterraneo; quando fiorisce emette un vago profumo di vaniglia.
Il micelio fungino che pervade il terreno, quando incontra le radici di questa pianta, si unisce spontaneamente ad esse e forma una micorriza, una struttura particolare in cui le cellule del fungo e quelle della pianta sono strettamente connesse. In genere le micorrize apportano un vantaggio reciproco per il fungo e la pianta: il micelio fungino sottrae una modesta quantità di zuccheri alla pianta per nutrirsene, ma contemporaneamente potenzia ed estende le capacità di assorbimento di acqua e sali minerali da parte delle radici. Nel caso della Monotropa hypopitys sembra invece che la pianta si prenda solo i vantaggi della simbiosi: al fungo vengono sottratti anche gli zuccheri che questa Ericacea non riesce a fotosintetizzare da sola. Quindi, in apparenza, la pianta si comporta da parassita del fungo, anche se, stranamente, è proprio quest’ultimo a collaborare e a portare avanti in modo spontaneo tutte quelle complesse modifiche fisiologiche e strutturali che conducono alla simbiosi finale. Può anche darsi che, in realtà, non ci sia nessuna incongruenza in questa unione: semplicemente non sono ancora stati scoperti i vantaggi che il fungo trae da questa particolare associazione.